sabato 27 settembre 2014

Beethoven a confronto

Bon jour!! Vi ricordate la recensione che ho scritto tempo fa su Beethoven? Bene, siccome la mia amica Erica, che cura un blog di musica, sta trattando questo compositore mi ha chiesto di vedere oltre al precedente film, Amata immortale, altri due che oggi qui vi riassumo per mostrarvi due diversi punti di vista sulla vita del grande maestro. Sono due opere completamente opposte tra loro che danno una particolare interpretazione della musica di Beethoven.
Ecco la prima: Lezione ventuno di Alessandro Baricco. Il film parla del perché il professor Kilroy abbia annoverato la Nona sinfonia di Beethoven tra i 141 capolavori sopravvalutati dalla critica; attraverso il racconto della sua studente preferita spiega, nota dopo nota, come l'intera composizione non sia altro che il risultato di un musicista arrivato ormai al termine della sua carriera, troppo pieno di sé e troppo sordo per accorgersi che quello che scrive non sarà mai apprezzato. Contemporaneamente si apre nel film un parallelismo con il 1824, anno in cui fu composto l'Inno alla Gioia, in cui compaiono una serie di personaggi che danno la loro personale interpretazione, come in una vera e propria intervista, della partitura dopo che fu suonata pubblicamente per la prima volta. Nell'inverno dello stesso anno inoltre si svolge la storia di un violinista, scoperto morto assiderato con ancora il suo violino in mano, sulla riva di un lago poco fuori Vienna, che si ritrova in uno strano villaggio con strani personaggi, ognuno dei quali ha la sua visione della musica di Beethoven. 
Di tutt'altro genere è invece l'altro film Io e Beethoven diretto da Agnieszka Holland. In questo caso fantasia e realtà si mescolano per dare un ritratto un po' più smussato del grande compositore. Beethoven sta per finire di scrivere la Nona sinfonia, ma ha bisogno di qualcuno che copi i suoi appunti in partiture ordinate; il suo segretario gli manda una giovane copista, Anna Holtz, che non solo finisce di trascrivere la sua musica ma lo stimola, lo capisce meglio di chiunque altro e ne placa gli attacchi d'ira improvvisa. Sarà proprio lei che nel giorno della prima esecuzione pubblica lo guiderà nella direzione dell'orchestra evitando in questo modo qualsiasi tipo di stonatura. Sarà sempre lei che lo sosterrà dopo il fallimento della Grande fuga, opera incompresa per gli ascoltatori dell'epoca e sarà lei l'ultima persona che Beethoven vede prima di morire.
Due punti di vista opposti quelli presentati in questi due film; nel primo caso si vuole mostrare come la Nona sinfonia non sia poi quel gran capolavoro che tutti applaudono, mentre nel secondo si elogia il lavoro fatto dal maestro, lo si porta ai massimi livelli contrapponendolo all'opera successiva che al contrario non fu compresa se non molto dopo la sua morte. Chi ha ragione? 
A mio avviso nessuno dei due... Il film di Baricco (che è anche scrittore, critico musicale, pianista..) non va guardato, va sentito per poterlo capire; attraverso la Nona sinfonia mostra gli istanti di vita e i sentimenti provati da Beethoven mentre la componeva. Non è un inno alla gioia, ma una dichiarazione di sofferenza per la sua condizione di sordità, una dimostrazione di odio per come gli sia stata sottratta la cosa più preziosa che ha, l'udito. E' in poche parole una guerra interiore che il musicista combatte nota dopo nota. Tutto il resto, i personaggi e gli scenari onirici, sono il frutto della fantasia del regista che cerca di trasmettere in immagini quello che lui stesso associa a questa musica per far comprendere a noi spettatori il suo punto di vista. Spesso però non fa altro che disorientarci e confonderci, come disorientato è il violinista che verrà in seguito trovato assiderato.
Al contrario il film della Holland mescola elementi e personaggi di pura invenzione per mostrare un Beethoven ancora all'apice della sua carriera; qui lo si descrive non ancora sordo del tutto e gli si affianca la figura di Anna (nella realtà mai esistita) per addolcirne i tratti. Questo modificare la realtà tuttavia tende a sminuire lo stesso compositore facendolo apparire a volte quasi "debole", malleabile; nella realtà invece era una persona aspra, dura che non avrebbe mai permesso a qualcuno di cambiare anche leggermente una delle sue partiture.
Per comprendere appieno Beethoven però il modo migliore (ve lo dico da pianista) è quello di ascoltarne le opere, non solo la Nona sinfonia, ma anche le altre, quelle composte prima e quelle dopo per coglierne i cambiamenti, le alterazioni che riflettono il suo stato d'animo. Dopo potrete voi decidere quale tra questi film, non dimenticate Amata immortale, vi piace di più!
                                                                                                 Lezione ventuno  3                                                                                                                          Io e Beethoven   2 e mezzo



venerdì 19 settembre 2014

Il gabinetto del dottor Caligari = espressionismo puro

Aujourd'hui mes chérs ho scelto un film che cercavo di guardare da un sacco di tempo, ma che non trovavo mai. E' un'opera fondamentale per il periodo in cui è stata realizzata, tanto che ne rappresenta l'apice stesso. Suo regista è Robert Wiene mentre il titolo è Il gabinetto del dottor Caligari del 1920.
Il protagonista, Franz, racconta ad un vecchio seduto vicino a lui una storia particolare e misteriosa avvenuta nel suo passato in un piccolo paesino della Germania... Per la fiera locale arriva in paese un misterioso individuo, tale Caligari, per presentare la sua attrazione: Cesare, uomo sonnambulo fin dalla tenera età capace anche di prevedere il futuro che, generalmente, risulta essere macabro per chi lo chiede. Infatti dall'arrivo dei due personaggi ogni sera avvengono sospette morti, legate appunto alle previsioni fatte da Cesare; tra queste c'è anche quella dell'amico di Franz che condivide con lui l'amore per la giovane Jane. La stessa ragazza diventa la prossima vittima dei due uomini, ma il sonnambulo, rimanendo incantato dalla bellezza della giovane, non riesce a portare a termine l'ordine ricevuto e scappa nella foresta. Jane racconta cos'è avvenuto alla polizia che si precipita ad arrestare il dottor Caligari rifugiatosi nel frattempo in un manicomio di cui è anche lo stesso direttore. Qui viene ritrovato il suo diario in cui confessa il desiderio di scoprire e usare tutte le tecniche relative al sonnambulismo; viene perciò internato.
Il flashback di Franz termina, ma non è detto che questo sia ciò che davvero è avvenuto perché Franz e il suo interlocutore sono seduti sulla panchina del...
Il film di Wiene è l'apoteosi del movimento espressionista tedesco, movimento già nel pieno del suo successo quando il film uscì, ne incarna appieno tutte le caratteristiche tipiche e funge quasi da pioniere per le future opere cinematografiche. Quello che emerge infatti è l'espressività dei vari personaggi, tutti pesantemente truccati (generalmente con trucco molto scuro) per accentuare maggiormente le connotazioni dei diversi stati d'animo. Inoltre anche la trama gioca un ruolo chiave: tutta la storia si basa su di una serie di reciproche accuse tra i vari soggetti tanto che lo spettatore non sa più a chi deve credere e deve aspettare la fine per scoprire la verità; ogni volta che sembra essere arrivato a un epilogo ecco che tutto si capovolge e l'accusatore diventa accusato. 
Tuttavia quello che colpisce al di sopra di qualsiasi altra cosa fin dall'inizio sono le inquadrature e le scenografie utilizzate dal regista. Quest'ultime sono un capolavoro di allucinante follia, non hanno una logica (pur avendola!) e sono piene di spigoli appuntiti, strade arzigogolate che non portano in nessun luogo e ombre minacciose ad ogni curva. Non esiste in poche parole una geometria: il sotto può diventare sopra come la destra diventare sinistra; solamente i personaggi sanno come muoversi al loro interno perché pervasi anche loro da pura pazzia. Questo mondo distorto ricorda molto le opere degli artisti espressionisti più in voga in quel periodo: Kirchner, Macke, Klee... e anche qualche futurista come Prampolini. 
Le inquadrature privilegiate sono invece in genere fisse, con un montaggio quasi inesistente per creare un effetto di "piattezza" dell'azione, mentre il restringimento del focale dell'obiettivo dà un senso di soffocamento come se l'azione si chiudesse pian piano su se stessa, lasciando al di fuori lo spettatore che non può essere partecipe della vicenda.
Che il film sia un capolavoro creativo non c'è dubbio e lo si capisce subito, che funga poi da stimolo per le pellicole a venire lo si nota solo in seguito quando compaiono i lavori di Lang, Metropolis,  Murnau, Nosferatu il vampiro e così via. Forse mai come prima due arti (cinema e arte) si sono così ben amalgamate per rappresentare una delle maggiori avanguardie del primo Novecento portandone le peculiarità all'ennesima potenza.
                                                                                                                                                    5 

venerdì 12 settembre 2014

Il guerriero di Kitano: Zatoichi

Bon jour! Oggi è la giornata ideale per trasferirsi un po' in oriente, cinematograficamente parlando s'intende... Di questo regista ho già analizzato un film tempo fa, ma mi sembra giusto richiamarlo in causa nuovamente perché la pellicola di oggi è considerata il suo maggior successo, presentata in concorso nel 2003 alla Mostra del Cinema di Venezia. Il regista è Takeshi Kitano mentre l'opera è Zatoichi.
Ichi è un massaggiatore cieco dai capelli biondi ossigenati (siamo nel '800!) che si sposta di paese in paese cercando qualsiasi tipo di impiego che lo renda utile per gli altri. Finisce così per stabilirsi per qualche tempo in una piccola cittadina ospitato da una donna di mezz'età sola alla quale, in cambio di un pasto caldo e un letto, offre manodopera e massaggi ristoratori. Qui conosce anche il di lei nipote, ragazzo un po' tonto e col vizio del gioco d'azzardo. 
La pace però non fa parte delle caratteristiche del paese; le famiglie più potenti sono in lotta tra loro per garantirsi il controllo sul resto degli abitanti ed i conseguenti dazi che ne possono ricavare, soprattutto dalle case da gioco molto amate dal nipote di O-Ume. 
Sul percorso di Ichi tuttavia si intrecciano quelli di altri personaggi come Hattori, samurai che vuole riconquistare il proprio rango che si mette al servizio del signore più potente oppure come O-Sei e O-Kinu, due geishe dal passato misterioso che cercano vendetta. Il massaggiatore si trova quindi, in un modo o nell'altro, a relazionarsi con loro per far sì che ogni cosa torni al proprio posto, per ristabilirne il corretto ordine.
Il film di Kitano, lo si nota fin dalla scena iniziale, vuole essere una sorta di omaggio a un grande maestro del cinema giapponese: Akira Kurosawa; molte infatti sono le scene di combattimento di gruppo nelle quali uno, l'eroe (Ichi), si trova a dover affrontare uno stuolo di nemici ben armati avendo a sua disposizione come unica arma la propria spada. Molto spesso inoltre queste sequenze di combattimento avvengono sotto la pioggia o al chiaro di luna e tutte hanno poi lo stesso esito favorevole per rimarcare come le virtù e le caratteristiche impersonate dal personaggio principale siano quelle da seguire per condurre una corretta vita. Ad esse legate ci sono poi gli effetti speciali che invece sembrano ricordare Tarantino per lo stile splatter; ad ogni fendente di spada schizzi di sangue si disperdono nell'aria in tutte le direzioni come a voler creare una coreografia parallela ai passi delle arti marziali impiegate. Tale uso viene fatto da Kitano anche in altri film, in particolare in Brother.
Altra caratteristica ricorrente (fattami accuratamente notare) è il gioco; in questo caso è ben manifestato attraverso la casa da gioco. Ichi ci va non perché ossessionato dallo scommettere d'azzardo in sé, ma per migliorare le proprie percezioni uditive; al contrario il nipote di O-Ume non può farne a meno e trascorre intere giornate a puntare e perdere. Sembra questa una parentesi all'interno della narrazione, ma svolge invece un ruolo fondamentale per riunire tutti i vari caratteri presenti nel film; funge quindi da catalizzatore della storia stessa e dell'esito poi conclusivo. 
Il finale è rivelatore del vero essere del protagonista: oltre che massaggiatore e esperto maestro guerriero lo scopriamo anche perfettamente sano, non cieco quindi come vuole apparire; la salute fisica però, conclude Kitano, non è così indispensabile come sembra, è meglio affidarsi sempre alle proprie percezioni sensoriali. A voi decidere se seguire il suo consiglio oppure no!
                                                                                                                                      3 e mezzo 




mercoledì 10 settembre 2014

Persona: dualità/unicità in Bergman

Oggi carissimi voglio fare un passo indietro nella storia del cinema per farvi scoprire, se non lo avete già visto, un film che a mio parere per quando possa apparire "incomprensibile" è bellissimo. Si tratta forse di una delle massime opere, probabilmente quella più compiuta, in cui risiede ovvero tutta la poetica di uno dei più grandi registi europei dagli anni '40 ai '70: Ingmar Bergman. Il film che ho scelto è invece Persona.
La famosa attrice Elisabeth Vogler durante una performance teatrale ha un crollo e si blocca incapace di andare avanti o di muoversi; riesce solo a ridere senza un apparente motivo. In seguito però si chiude in un mutismo assoluto e viene perciò ricoverata in un ospedale psichiatrico affidata alle cure della giovane infermiera Alma. Dato che ogni tentativo sembra inutile la dottoressa che segue il caso propone ad Alma di trasferirsi con la paziente per un certo periodo nella sua casa in riva al mare, sperando così in un qualche miglioramento. Qui in un isolamento pressoché totale inizia una particolare relazione tra le due donne; due caratteri opposti che convivono fianco a fianco. Elisabeth continua a non parlare ma ascolta pazientemente Alma raccontarle della sua vita, dei suoi amori, di come abbia scelto la carriera infermieristica. Si trasforma nella perfetta confidente che sa come farsi capire nonostante si rifiuti di emettere qualsiasi suono. Al contempo Alma sembra aver trovato nell'attrice la sorella che non ha mai avuto, che la capisce senza giudicarla e la consola quando è triste.
Questo rapporto però non è destinato a durare; troppo viene detto e rivelato, anche ad altri e porta le due donne ad allontanarsi in modo secco e senza preavviso, ognuna accusandosi silenziosamente o meno degli errori fatti in passato.
Con Persona Bergman crea un piccolo capolavoro di psicologia sentimentale; mette a confronto due diverse personalità che però hanno molto in comune tanto da arrivare quasi a sovrapporsi una sull'altra, a diventare un'unica entità. Da un lato infatti c'è Elisabeth il carattere più forte, quello dominante incapace però di amare davvero o di provare un qualche tipo di sentimento profondo; dall'altro lato c'è invece Alma giovane e inesperta del mondo che si confida senza pudore sperando in un conforto in cambio di un amore puro. Il regista ce le mostra prima separatamente per marcarne le differenze, poi insieme per mostrare come in fin dei conti esse non sono poi così diverse tra loro; interessanti sono due sequenze una a metà film circa in cui Bergman le accosta fin quasi, con un gioco di dissolvenze, a fonderle in una sola persona (che sia Alma o Elisabeth non si sa) e una alla fine in conclusione dove, riprendendo una scena iniziale, il volto di Elisabeth si trasforma gradualmente in quello di Alma. Anche il rapporto che si instaura tra le due è simbolico, si potrebbe quasi parlare di un amore omosessuale ma non corrisposto tra il carattere debole (che è quello che ama) e il carattere forte (che al contrario non ci riesce); questo tipo di amore viene tuttavia tradito attraverso una confessione al mondo esterno. 
Di tutt'altro aspetto ma pur sempre particolare è invece l'incipit del film: Bergman sceglie di accostare tra loro immagini che non hanno niente in comune essendo per soggetto e tema tutte diverse. Perché lo fa? Probabilmente per mostrare le capacità oniriche del cervello umano, quello che esso è in grado di affiancare in un unico sogno e condizionarne poi la psiche; alla fine della carrellata si nota infatti un bambino che si sveglia e si mette a leggere... forse è proprio il suo sogno.
In tutti i suoi film Bergman gioca con l'onirico e ciò che esso comporta poi sul piano reale; qui lo fa più che in qualsiasi altra sua opera tanto che spesso lo spettatore si confonde, non capisce più quale sia la realtà e quale il sogno. Come con le due protagoniste: alla fine non sappiamo quale delle due "sopravviva" all'altra. 
                                                                                                                                      4 e mezzo

martedì 9 settembre 2014

Beethoven e la sua amata immortale

Bon jour à tout le monde! Finalmente dopo quasi un mese torno a scrivere qui sul blog e, vi prometto, adesso lo farò molto più assiduamente!
Per riprendere al meglio ho pensato di parlarvi di un film che si ispira ad una storia vera (e che storia!) fattomi scoprire da una cara amica interessata di musica. Il personaggio di cui parla l'opera è niente meno che Ludwig van Beethoven mentre il film è Amata immortale diretto da Bernard Rose, lo stesso regista di Il violinista del diavolo di cui ho scritto un paio di post fa.
Beethoven è appena morto nella sua casa di Vienna il 26 marzo 1827 e già i fratelli se ne contendono l'eredità quando, rovistando nella confusione di carte e spartiti, il suo amministratore e amico Schindler scopre una lettera in cui il maestro ha scritto il suo ultimo testamento: "la mia musica e tutte le mie proprietà andranno ad un solo erede... la mia amata immortale". Non c'è però il nome della donna e così, da questo momento, inizia un viaggio a ritroso nel tempo per cercare di scoprire chi è stato il vero grande amore del musicista. Nel suo percorso Schindler si confronta con tre diverse donne, ognuna a suo modo legata sentimentalmente a Beethoven. 
La prima è la contessa Guicciardi che lo incontra ancora adolescente quando il padre lo assume perché le faccia da insegnante di pianoforte; lei lo conosce quando la sordità inizia vincerlo ma nonostante tutto se ne innamora ed è disposta a sposarlo. Sarà il padre ad impedirne il matrimonio per questioni sociali e politiche. Giulia non può quindi essere l'amata immortale della lettera.
La seconda donna della vita del compositore è Anna Marie Erdoby, nobile ungherese e madre di tre figli, trascorre molto tempo con lui e instaura un legame intenso e duraturo fino alla morte del suo primogenito avvenuta in conseguenza di un attacco militare da parte delle truppe di Napoleone che stanno invadendo l'Europa. La separazione tra i due è dolorosa ma in fin dei conti inevitabile. 
Schindler è sempre più spiazzato dalla situazione ma, facendo alcuni riscontri, arriva a Karlsbaad, luogo in cui Beethoven trascorreva del tempo e dove, dopo aver guardato i registri delle presenze, nota la firma di una terza donna, una donna che scoprirà essere l'amata immortale, il tutto, l'alter ego del musicista. Ma quest'ultima donna non sa di essere il grande amore di Ludwig fino a quando Schindler stesso le mostra la lettera scrittale molto anni addietro e, per una serie di sfortunate coincidenze, mai letta.
Rose compie un ottimo lavoro di ricostruzione biografica decidendo solo di svelare a noi spettatori chi fosse questa "amata immortale" che riuscì a sconvolgere profondamente la vita del compositore; nella realtà invece essa rimane tutt'ora ignota. Il regista sceglie inoltre di partire dalla fine, ovvero dalla morte di Beethoven e compiere un percorso a ritroso nella sua vita dal momento in cui la sordità lo prende impedendogli di continuare a godere del successo che gli spetta. E' da questo momento che il musicista inizia ad isolarsi dal mondo, a diventare taciturno, scontroso e a volte violento; la gente, non comprendendo quello che gli sta accadendo, lo giudica negativamente, lo critica e a volte lo deride (soprattutto nei concerti che tiene). Ciò viene mostrato molto bene grazie a interessanti sequenze in cui, per far capire la condizione del musicista, i suoni arrivano a noi che guardiamo il film in maniera molto ovattata, appena udibili; è questa una sensazione molto debilitante, ma che ci dà la percezione del mondo in cui suoi malgrado Beethoven si ritrova a vivere. Da notare la scena in cui, a casa della contessa Guicciardi, mentre suona appoggia l'orecchio al pianoforte per sentire le vibrazioni prodotte dai tasti. Anche se ormai i suoni non sono più udibili egli riesce comunque a percepirli guardando uno spartito o i tasti dello strumento. 
Ecco allora che le figure delle tre donne acquistano un ruolo importante per l'evolversi della sua vita e della sua carriera; ognuna a suo modo lo ama e lo sostiene, portandolo a fare scelte che magari altrimenti non avrebbe mai fatto, giuste o sbagliate che siano. Esse sono tre caratteri completamente differenti tra loro, messi ben in luce dal momento in cui si trovarono a confronto con Ludwig; solo una però riusce a conquistarlo veramente e per tutta la vita.
Il fatto che Rose scelga di mostrarci chi è deviando dalla storia vera non va letto come uno svantaggio per il film, non sminuisce il genere biopic; dà semplicemente la conclusione che tutti bene o male vogliamo: scoprire chi è la donna. Il mistero rimane in ogni caso sempre presente.
Forse però guardando il film ci viene voglia di andare a indagare un po' di più la vita di uno dei maggiori compositori e musicisti del XIX secolo... per chi volesse approfondire vi lascio il link al blog della mia amica Erica che vi dà qualche spunto in più musicale:
http://piccoliviaggimusicali.blogspot.it/2014/10/inno-alla-gioia-5-e-moonlight-1-cult.html?spref=fb
                                                                                                                                                    4