martedì 29 marzo 2016

Still Alice: combattere contro sé stessi per sé stessi

Bonsoir à tout le monde! Il film della serata è un film particolarmente interessante e delicato per il tema che tratta, ma è davvero molto molto bello... quindi ve lo propongo! Ecco a voi Still Alice.
Alice Howland è una splendida donna di mezza età, moglie, madre di tre figli e docente di linguistica alla Columbia University. Stimata da tutti ama il suo lavoro, scoprire il significato più recondito delle parole e trasmetterlo ai suoi studenti; le parole sono tutto e la sua memoria ne è piena. Un giorno però qualcosa non va; Alice non riesce a ricordare come si chiama un oggetto, un oggetto qualunque che usa quotidianamente... poco a poco questo episodico evento inizia a manifestarsi con maggiore frequenza. Preoccupata fa degli accertamenti medici e scopre di avere una rara forma di Alzheimer precoce che, neanche tanto lentamente, le sta portando via tutti i suoi ricordi. Da questo momento inizia per lei una battaglia per cercare di opporsi il più possibile a un male incurabile.
Still Alice è un film su una malattia, una delle più brutte che ci siano perché incurabile; tuttavia in esso non c'è nessuna pretesa di eroicità o esibizionismo. Viene semplicemente mostrato il cammino di una donna che, conscia del suo male, decide di lottare con tutte le sue forze per trattenere il più possibile i ricordi che formano la sua vita. Il regista stesso, Richard Glatzer, era affetto da sclerosi laterale amiotrofica e per tutto il tempo delle riprese ha comunicato con cast e troupe tramite l'uso di un ipad; pochi mesi dopo la fine del film si è spento. Ciò dimostra con ancora più intensità come l'opera voglia fungere, o almeno provarci, da palliativo; raccontando una storia di dolore e sofferenza in qualche modo cura chi lo guarda. Lo cura nel senso che dà una speranza, un incentivo in più a lottare e non lasciarsi abbattere anche quando si è perfettamente consapevoli che non c'è una via d'uscita.
Non ricordare le parole, i nomi delle cose, non riconoscere i propri figli, smarrirsi in città è un'esperienza terrificante per una persona già in là con gli anni, figuriamoci  per una che è ancora nel pieno della sua vita; Alice lo prova. All'inizio ne è sopraffatta, non lo dice a nessuno, ma quando capisce che avrà bisogno di aiuto si vede costretta a rivelarlo. Il marito, fin troppo assente e interessato solo alla carriera, deve rivedere le sue priorità, i figli devono prendere coscienza dello stato dei fatti e proprio da quella che è sempre stata la figlia più lontana arriva il sostegno maggiore. Ma il lavoro più grosso, quello più difficile lo fa Alice stessa. Pronunciando la frase "noi non siamo la nostra malattia" mostra una delle verità che spesso si tende a dimenticare; non ha senso (anche se è molto complicato non farlo) lasciarsi andare, lasciare che il male abbia il sopravvento. Per quanto possibile bisogna cercare di andare avanti opponendosi a lui e godendosi le piccole cose di tutti i giorni. Alice guarda avanti ma anche indietro riguardandosi in un video che lei stessa mesi prima aveva fatto proprio per darsi forza; una lei all'inizio della malattia che parla delle cose che stanno accadendo alla lei del qui e ora e che le "ricorda" di continuare a lottare.
Quella che emerge è dunque una storia di deriva, uno scomparire graduale di una donna e di tutto quello che ha costruito per essere ciò che è, ma è anche e soprattutto una storia di speranza, non per una cura che ancora non c'è, una speranza per chi tutti i giorni combatte contro mali incurabili e nonostante tutto non si lascia abbattere. Quella scintilla che emerge negli occhi di una splendida Julienne Moore, nella fantastica ma discreta interpretazione crea un'immedesimazione (nei limiti dei possibile) con chi guarda il film e lo trasporta per un breve lasso di tempo in una realtà che può, così all'improvviso, capitare a tutti.
Ma ricordiamolo ancora una volta "Noi non siamo la nostra malattia"!
                                                                                                                                                    4 

martedì 22 marzo 2016

Fantastic Mr Fox: quando il nascosto emerge in superficie

Bonsoir mes chèrs!! Per il film di questa sera ho deciso di fare un salto indietro di sei anni e proporvi una delle animazioni più belle che abbia mai visto (candidato tra l'altro anche agli Oscar nell'apposita categoria). Senza dirvi di più ecco quindi Fantastic Mr Fox di Wes Anderson!
Mr Fox, Fantastic Mr Fox, è una volpe che ormai da tempo ha rinunciato alla vita spericolata fatta di furti per il bene della sua famiglia; ora si dedica alla carriera giornalistica non troppo soddisfatto tuttavia dell'attuale situazione e neanche della tana in cui vive con moglie e figlio. Decide così che è tempo di traslocare in un maestoso albero in cima a una collina che però è pericolosamente vicino ai tre più spietati agricoltori della zona: Boggins, Bunce e Bean i quali non vedono l'ora di sbarazzarsi di lui. Con la complicità dei suoi amici del sottosuolo e del nipote venuto in visita, che tra l'altro supera in simpatia e astuzia il figlio dello zio, Mr Fox mette a punto un piano non solo con lo scopo di rubare il cibo ai nemici, ma per sconfiggerli una volta per tutte. Per quanto diabolica sia l'impresa c'è pur sempre il rischio di perderci la coda...
Fantastic Mr Fox è il primo film d'animazione che Anderson realizza, scegliendo per l'occasione la tecnica della stop motion (ovvero il passo uno); l'opera si ispira al libro di Roald Dahl, un racconto per bambini, che sembra inoltre essere anche il primo romanzo posseduto dal regista e quindi dal forte valore affettivo.
Protagonista indiscusso è Mr Fox, volpe intelligente ma anche molto vanitosa che dopo aver scoperto di diventare padre lascia la carriera di ladro per il bene della famiglia diventando giornalista. Tuttavia lo spirito d'avventura non lo abbandona mai completamente e con il passare del tempo riappare sempre più prepotentemente. Il figlio Ash non sembra volerne sapere di seguire le orme del padre, anzi appare come un adolescente scontroso e irritabile costantemente schiacciato dal peso del genitore da cui vorrebbe solo un po' di ammirazione. Le cose peggiorano con l'arrivo del nipote Kristofferson che dimostra un'indole molto simile a quella di Mr Fox il quale lo prende subito in simpatia. A moderare tutti i diverbi familiari c'è l'unica figura ragionevole del gruppo: Mrs Fox, la sola capace di tenere a freno il marito nelle sue fantasticherie e a riportare l'ordine. Felicity Fox si dedica alla sua vocazione artistica, spesso associata da Anderson ai caratteri femminili nei suoi film. Insomma fin da subito si può vedere quanto complesse e attuali siano le problematiche familiari e come esse siano facilmente paragonabili a quelle di una qualsiasi famiglia media.
Altrettanto attuali sono anche le tematiche sociali; non solo Mr Fox e famiglia rischiano di rimanere senza casa a causa dell'ingordigia di pochi, ma addirittura un'intera colonia di animali che vivono nel sottosuolo. In qualche modo questa immagine, che si potrebbe definire come " massa di ceto medio-basso sottoterra vs. pochi e ricchi capitalisti sopra", richiama uno dei film più famosi della storia del cinema: Metropolis di Fritz Lang. La storia si ripete: per sopravvivere bisogna lottare, unire le forze e solo così l'equilibrio potrà essere ristabilito almeno parzialmente.
Questa è certo una storia per bambini, ma analizzata nel suo significato più profondo mostra come l'ingordigia degli agricoltori, ma anche dello stesso Mr Fox che vuole a tutti i costi vivere in una casa più lussuosa, porta sempre a delle conseguenze, spesso negative. I tre vengono derubati dei loro prodotti mentre la volpe perde la sua coda, vanto del passato, e a momenti rischia anche la vita. Alla fine le volpi capiranno che vivere sottoterra nelle tane è proprio della loro natura e spetta loro decidere se spostarsi da un'altra parte o rimanere lì consci dei pericoli; allo stesso modo i capitalisti impareranno a rispettare gli animali convivendoci.
Anderson con questo film mostra l'importanza degli equilibri familiari, sociali... a cui sempre nel suo cinema dà grande valore. Dietro un'animazione fortemente dettagliata e una storia rielaborata per renderla accattivante e ironica per tutte le fasce d'età nasconde riferimenti e sottigliezze che solo i più attenti colgono. 
A voi scoprirli!
                                                                                                                                      4 e mezzo 

martedì 15 marzo 2016

Il caso Spotlight: guardare la realtà da un altro punto di vista

Bonsoir!! Eccoci ritornati ai film nominati per la statuetta più prestigiosa nel mondo del cinema: l'Oscar. Questa volta tocca, non poteva d'altronde non mancare, a quello candidato al titolo di Miglior Film e che poi si è effettivamente portato a casa il riconoscimento. Ecco quindi a voi la recensione dedicata a Il caso Spotlight di Thomas McCarthy.
Nel 2001 un gruppo di giornalisti investigativi del Boston Globe, riuniti sotto il nome "spotlight", guidati dal nuovo direttore Marty Baron inizia ad indagare sul caso di un sacerdote della diocesi di Boston che si presume abbia abusato per trent'anni, e tuttora lo faccia, di numerosi giovani. Il tutto senza che mai sia stato preso alcun tipo di provvedimento; anzi l'arcivescovo Law risulta essere a conoscenza dei fatti e sembra aver fatto di tutto perché la questione venisse insabbiata. Il gruppo di giornalisti, ben consapevole che l'avviare un'indagine del genere comporta accusare pubblicamente la Chiesa Cattolica, decide di dare avvio a una dolorosa ricerca delle prove; ciò significa parlare con i ragazzini abusati ormai diventati adulti che vorrebbero solo dimenticare, richiedere, e lottare per questo, delle informazioni secretate e soprattutto essere pronti alle conseguenze che un'indagine del tipo porterà. 
Il film diretto da McCarthy vuole essere un'opera che sconvolge per aprire gli occhi su una realtà che spesso non è quella che si crede. In questo caso sceglie di riportare fedelmente sullo schermo uno degli eventi più impattanti del 2001; uno dei maggiori scandali che ha colpito la Chiesa Cattolica. La diocesi di Boston infatti ha coperto, nella figura dell'arcivescovo Bernard Francis Law, per ben trent'anni gli abusi perpetrati da uno dei suoi preti a scapito dei ragazzini che frequentavano la chiesa. In seguito si scoprirà che i preti coinvolti in tali crimini erano addirittura più di settanta. Il Boston Globe con il nuovo direttore Marty Baron decide di affidare al gruppo Spotlight, giornalisti investigativi, la delicata indagine per fare luce sui fatti una volta per tutte; già in passato alcuni testimoni avevano chiesto al giornale di indagare sulla vicenda ma tutto era stato accantonato. Ora è il momento di agire. 
Spotlight si mette in moto: primo passo è cercare di parlare con le vittime degli abusi, persone ormai adulte e con famiglia che vorrebbero solo poter dimenticare. Chiedere loro di parlare, anche in forma anonima, significa riaprire una ferita mai sanata, ma purtroppo va fatto per ottenere giustizia. Ci vuole tatto, delicatezza, bisogna porre le giuste domande e tutto ciò non sempre è facile da rendere sullo schermo cinematografico, ma il regista si avvale di un ottimo cast in cui nessuno è davvero protagonista perché protagonista è l'indagine stessa. Ecco quindi che ogni componente trasmette il suo modo di relazionarsi ai fatti dando una versione d'insieme unitaria e rispettosa.
Il lavoro però non si limita solo a questo: scopo del film è mostrare il lento e faticoso processo attraverso il quale il gruppo di giornalisti ha dovuto passare per poter pubblicare l'articolo. Mettersi contro la Chiesa Cattolica non è cosa da poco; qualsiasi tipo di informazione che la concerne è inaccessibile e i passaggi per ottenerla sono molti e spesso non conducono dove si vorrebbe. E' un lavoro da archeologi; bisogna scavare, grattare sotto la superficie per arrivare al cuore della questione.
L'indagine vinse nel 2003 il Premio Pulitzer e servì da trampolino di lancio per un più grande lavoro di "pulizia", questa volta partito direttamente dall'interno, ad opera di Papa Francesco che prese provvedimenti anche di detenzione dentro le mura vaticane dei colpevoli. Una nuova strada è stata aperta, una via verso la consapevolezza che spesso, molto spesso, sotto una superficie in apparenza perfetta si nascondono tante piccole realtà che la incrinano sempre di più. Bisogna allora munirsi di microscopio e osservare attentamente.
                                                                                                                                      4 e mezzo 

martedì 8 marzo 2016

The tree of life: la vita al microscopio

Bonjour à tout le monde! Lasciamo a macerare ancora un po' le conclusioni sugli Oscar e per il momento dedichiamoci ad altro... Infatti vi voglio parlare di un film che ha fatto molto discutere per come è stato girato; amato da alcuni, odiato da molti. A me personalmente è piaciuto parecchio e quindi ho deciso di riportarvelo alla memoria! Sto parlando di The tree of life di Terrence Malick.
Dopo un inizio che rappresenta effettivamente l'origine dell'universo dal Big Ben in poi ecco comparire la storia della famiglia O'Brien, nel Texas degli anni '50. Tutto viene visto attraverso gli occhi di Jack, uno dei figli e vero protagonista del film, ormai adulto da sempre diviso nel rapporto con i genitori. Il padre è un convinto sostenitore di un'educazione severa, punendo anche fisicamente i figli; la madre al contrario fa conoscere loro il valore dell'amore e dei sentimenti. Ne deriva per Jack un'evoluzione confusa che mal lo porta ad adattarsi nel mondo contemporaneo. In più a peggiorare la già complicata situazione affettiva sopraggiunge anche la morte di uno dei fratelli. Tante sono le risposte che l'uomo ha e le cerca in un viaggio a ritroso nel tempo che si conclude con una visione onirica...
Il film di Malick è un enorme flashback che inizia mostrando addirittura l'origine dell'universo con tanto di Big Ben, creazione del mondo, dinosauri e quant'altro per arrivare fino al Texas degli anni '50. Si tratta di un vero e proprio paragone che il regista fa tra Macro e Micro volto a mostrare le somiglianze che ci sono tra i due e come in realtà essi abbiano (nella giusta misura) le stesse problematiche; quello che succede nel Macro (l'evoluzione del mondo, l'estinzione dei dinosauri, la comparsa dell'uomo) è ciò che accede anche nel Micro (la creazione della famiglia, la morte, l'andare avanti guardando al futuro). In tutto questo Malick associa un flusso di musica costante per armonizzare e creare linearità nel continuo alternarsi dei due.
Il film è inoltre, e soprattutto, una ricerca costante sul senso della vita; il protagonista è un uomo sperduto all'interno della società contemporanea che cerca disperatamente di sopravvivere in un mondo che non sente suo. Intraprende così una ricerca a ritroso nel suo passato per elaborare i momenti belli e brutti della sua infanzia. Ecco quindi apparire, a chi guarda, i due pilastri della sua vita; da una parte il padre paragonato alla Natura in quanto forza violenta che vive per dominare e che non accetta altra verità se non la sua, dall'altra c'è invece la madre vista come la Grazia che impersona obbedienza e sacrificio. Entrambi trasmettono dei valori che sono in netto contrasto l'uno con l'altro. L'equilibrio familiare degli O'Brien  è perennemente in bilico decretando anche il senso di inadeguatezza in Jack. Quest'ultimo non a caso sviluppa un complesso di Edipo nei confronti della madre e detesta invece il padre con il quale non avrà mai un buon rapporto. Inoltre la morte prematura del fratello incrina ancora di più la superficie di cristallo sulla quale tutti si muovono; non va inoltre dimenticato che la storia è ambientata nell'America conservatrice della metà del '900 e quindi qualsiasi tipo di sentimentalismo, soprattutto se si tratta di un uomo, è caldamente sconsigliato. Non stupisce pertanto la difficoltà del protagonista di relazionarsi con gli altri e di non sentirsi a suo agio nel presente.
Malick però offre una specie di "via d'uscita", crea un finale che in realtà è una visione onirica nella quale Jack può ritrovare i suoi cari giungendo anche a una riconciliazione con il padre. Tutto viene perdonato, ogni accusa cancellata e ogni debito saldato; ciò permette a Jack di nascere una seconda volta, continuando il ciclo della vita. Micro e Macro di nuovo insieme.
                                                                                                                                                   4   
       

martedì 1 marzo 2016

Room: la fuga dal micro al macro

Bonsoir mes chèrs! Il film della serata è un'opera che merita di essere vista il maggior numero possibile di volte per la sua bellezza, ma soprattutto per il contenuto di cui tratta. Inoltre si è appena portato a casa anche l'Oscar come Miglior attrice protagonista. Capito di quale parlo? Esatto, è Room di Lenny Abrahamson.
Jack, bimbo di cinque anni, vive con sua madre Joy nella "Stanza", un angusto spazio isolato dal resto del mondo per volere di "vecchio Nick". La donna infatti sette anni prima è stata rapita, ancora adolescente, dall'uomo che da quel momento l'ha rinchiusa nel capanno del suo giardino impedendole di uscire e abusando ripetutamente di lei. Da questo malsano rapporto è nato Jack che altro non conosce se non quei pochi metri quadrati; ogni giorno, appena sveglio, saluta gli oggetti che ci sono (lavandino, sedie, armadio...). Quello è tutto il suo mondo, fuori c'è lo spezio che riesce a vedere solo da una piccola finestra sul tetto. L'unica distrazione è la tv, la scatola magica, che Jack crede contenga persone vere. Il bimbo però sta crescendo e inizia a fare domande alla madre che non sapendo come rispondere decide di dirgli la verità elaborando un piano per scappare finalmente dalla stanza.
Il film non è solo una storia triste e toccante di una ragazza rapita e segregata; è, purtroppo, una ricostruzione di un evento che fin troppo spesso sta accadendo nella società contemporanea (certo avveniva anche prima, ma non essendoci possibilità di denunciare non se ne veniva a conoscenza). Room è infatti l'adattamento del romanzo scritto da Emma Donoghue (anche sceneggiatrice) che si ispira al caso Fritzl di recente scoperta. La vicenda in questo caso è ambientata in una cittadina americana, zona apparentemente tranquilla in cui tutti si conoscono, ma dove un giorno la diciassettenne Joy non si presenta a scuola. Un uomo molto più grande di lei la rapisce per farne il desiderio delle sue fantasie. Joy da questo momento è sola; chiusa in un capanno, di cui non conosce il codice della porta blindata, è costretta a vivere giorno per giorno una monotonia senza fine. Ogni sera il "vecchio Nick" va a dormire da lei per poi andarsene la mattina; è prigioniera e nessuno sa dove si trovi. Un giorno dà alla luce Jack ("dono" che l'uomo non smette mai di ricordarle) e da quel momento la sua vita cambia; ora ha qualcosa per cui continuare a vivere, per cui lottare, qualcuno da proteggere dalla cattiveria del suo aguzzino. Il bimbo cresce così anno dopo anno pensando che quella, La Stanza, sia oltre che il suo mondo, tutto il mondo; oltre quelle quattro mura c'è lo spazio, luogo in qualche modo remoto e sconosciuto. A parte la madre le uniche persone che vede sono quelle in televisione, la scatola magica, capace di contenere uomini, animali e oggetti che Jack crede davvero abitino proprio lì dentro. 
Al compiere del suo quinto compleanno però qualcosa inizia a cambiare; Jack è un bambino curioso, fa domande intelligenti a sua madre, vuole sapere come funzionano le cose. Joy, dal canto suo, non ne può più di rimanere rinchiusa lì senza cure né libertà e coglie l'occasione per prendere in mano il suo destino e offrire la vita, quella vera, al figlio. Inizia da questo momento la trasformazione per entrambi, assumono una nuova consapevolezza: è arrivato il momento di agire. Dopo un'iniziale e comprensibile riluttanza del piccolo Joy mette a punto un piano per far uscire Jack dalla stanza e cercare quindi aiuto. Il bambino diventa ora il protagonista indiscusso del film; deve superare le sue paure, lasciare il mondo che fino a quel momento ha conosciuto e entrare nello spazio. E' una seconda nascita che equivale alla libertà; due destini nella mani di una creatura così piccola.
Il regista Abrahamson mostra con estrema delicatezza il passaggio dal micro, La Stanza, al macro, il mondo, attraverso gli occhi di un bambino che stupiti  guardano per la prima volta il cielo, il colore degli alberi, altre persone. Tutto, dal minimo dettaglio, viene colto per poter essere studiato; persino il desiderio più grande di Jack, avere un cane, può diventare realtà.
Il dramma psicologico che questo film racconta è tanto più forte perché a raccontarlo, seppur involontariamente, è un bimbo di cinque anni che, dopo aver guadagnato la libertà, deve essere ancora più forte per sostenere la madre che fatica a riabituarsi alla "normalità". Jack pertanto altro non è che un micro-supereroe di una macro-storia.
                                                                                                                                      4 e mezzo