giovedì 16 ottobre 2014

L'angelo del male. Renoir e il successo

Bon jour! Oggi vi presento un film di uno dei maggiori registi francesi di tutti i tempi: Jean Renoir. Figlio del celebre pittore impressionista Jean crea film tra gli anni '20 e '60 diventando uno dei pilastri per tutti i cineasti a venire, soprannominato da Rivette "Le patron". Il film in questione, tratto dal romanzo di Zola La bestia umana, ottiene già dalla prima proiezione un enorme successo. Si tratta de L'angelo del male del 1938.
Il protagonista è Jacques Lantier ferroviere che, a causa di alcune tare familiari, soffre di pulsioni violente e aggressive; l'unico posto in cui si sente veramente bene e al sicuro è sulla sua locomotiva, la Lisa come la chiama, insieme al compagno Pecquereux. Un giorno però mentre aspetta una riparazione incontra una giovane donna, Séverine, moglie del vicecapo della stazione di Havre e se ne innamora. Pur avvisato della gelosia del marito Roubaud (che ha da poco assassinato il precedente amante) decide di intraprendere una relazione con lei. La loro non è una storia felice; inizialmente si vedono di nascosto nei posti più bui della stazione ferroviaria per non rivelare a nessuno la realtà delle cose, poi però iniziano a non curarsi più del segreto e si mostrano apertamente, indifferenti alle reazioni di Roubaud. Il loro amore non è vero amore, i dubbi iniziano a sorgere in entrambi, dubitano della lealtà dell'altro e si lasciano influenzare dai rispettivi passati; ben presto il rancore prende il sopravvento portando a richieste folli. Séverine infatti propone a Lantier di uccidere il marito, presenza quanto mai ingombrante e pericolosa; Lantier pur provandoci non riesce però a compiere ciò che gli è stato chiesto e così viene lasciato.
Tuttavia in uno degli ultimi incontri con la donna scatta in lui un vecchio istinto violento che lo porta compiere due gesti estremi: il primo verso di lei e il secondo verso se stesso.
Fin da subito va precisata una cosa: il vero protagonista del film non è Lantier, bensì il treno, la locomotiva sulla quale ogni giorno l'uomo fa il tragitto Parigi-Le Havre e sulla quale si sente al sicuro. Da cosa lo si capisce? Semplice, dal fatto che Renoir apre e chiude il film con lei, che le scene focali si svolgono su di essa o hanno lei come sfondo.  E' lei che indica la direzione stessa della storia.
Lantier diventa un tutt'uno con la macchina (le dà persino un nome!) perché attraverso di essa riesce a esprimere i suoi veri sentimenti, a sentirsi libero di quelle tare che condizionano la sua vita fino a condurlo alla morte. Questa è una peculiarità tipica del regista: esprimere i personaggi piuttosto che mostrarli; essi non sono semplici marionette davanti ad una cinepresa. Renoir fa si che riescano, attraverso condizioni avverse, a dare a noi spettatori uno spaccato della realtà per come la vivono loro, percepiamo le loro idee (condivisibili o meno), i loro dolori o le gioie. Lo schermo che separa finzione e realtà viene così a mancare, il cinema stesso si fa realtà.
Un'altra caratteristica tipica dello stile di Renoir che emerge dal film è l'uso delle inquadrature lunghe. Anche in questo caso lo si può notare in apertura quando siamo "costretti" a seguire visivamente il tragitto fatto quotidianamente dal macchinista. Tutta la ripresa viene fatta sulla locomotiva in modo da creare una soggettiva: vediamo ciò che il protagonista vede e lo vediamo con gli occhi dello treno. Alberi, case, interi villaggi sono solo sagome confuse a cui sfrecciamo accanto con in sottofondo lo sferragliare metallico dei binari. Questo ci consente non solo di entrare fin da subito in sintonia con il protagonista, ma ci dà anche il ritmo di quella che sarà l'evoluzione della storia.
A volte sottovalutato e incompreso Renoir crea opere che sono invece la prova di un grande talento artistico; saranno però solo i fautori della Nouvelle Vague negli anni '60 a capirne a fondo l'importanza. 
                                                                                                                                    3 e mezzo 

mercoledì 1 ottobre 2014

In the mood for love: l'amore impossibile

Bon jour à tout le monde! Dopo una serie di film a tema musicale oggi vi vorrei parlare di qualcosa di più romantico, anche se triste... Tuttavia il film merita davvero di essere visto perciò ve lo propongo nella speranza che vi possa piacere. Si tratta di In the mood for love di Wong Kar-Wai.
Nella Hong Kong degli anni '60 si intrecciano le vite di un uomo e una donna; Chow Mowan e Su Lizhen si ritrovano ad essere vicini di casa per puro caso, sono entrambi sposati ma i rispettivi coniugi sono spesso assenti sia per lavoro sia sentimentalmente. Ben presto si scopre però che questi ultimi sono in realtà amanti da molto tempo. Pur ammettendo questo stato delle cose tra di loro i due protagonisti continuano a mantenere un rapporto di cordiale vicinanza, ma i frequenti incontri sotto casa, gli attimi rubati tra un saluto e l'altro e i lunghi periodi di solitudine fanno sì che alla fine si innamorino. Iniziano così a vedersi promettendosi che non faranno come i loro consorti... però non ce la fanno e si vedono di nascosto dagli altri, in locali isolati dove nessuno li conosce e qui parlano per ore arrivando addirittura a inscenare possibili discorsi con il rispettivo marito/moglie. 
Tutto questo però non fa altro che allontanarli sempre di più, creando vuoti che di incontro in incontro si fanno sempre più grandi; entrambi infatti sanno che il loro amore non potrà mai avere un esito positivo, non potrà mai rivelarsi apertamente al mondo intero.
L'opera di Kar-Wai, pur nell'estrema linearità della trama, mostra un crescendo per quando riguarda i sentimenti provati dai due protagonisti; essi aumentano piano piano, con delicatezza come a non voler turbare l'armonia della casa; la loro intensità si manifesta soprattutto interiormente creando un vero e proprio sconvolgimento emotivo che lascia entrambi i personaggi "spaesati". Non sanno come comportarsi, non vogliono ripercorrere la stessa strada dei loro compagni, soprattutto non vogliono essere giudicati dalla gente. Sono contornati da persone ancora ancorati ad una mentalità arcaica che si trova in contrapposizione con il clima che sta nascendo ad Hong Kong. Si sentono catturati in un vortice che non possono fermare e da cui non possono uscire, ma che tuttavia non porta a qualcosa di positivo. 
Non a caso il regista sceglie come sottofondo alla storia musiche (di Michael Galasso) malinconiche, tristi che si ripetono frequentemente nel corso della narrazione e che spesso prendono il sopravvento sulla parola; quest'ultima non è necessaria, non serve parlare per forza, i silenzi dicono molto di più. Anche la scelta della location è ponderata accuratamente; negli anni '60 infatti Hong Kong funge da rifugio/crocevia per tutti coloro che vogliono allontanarsi dal comunismo di Mao, evadere da una società conservativa (Shanghai) e guardare al futuro. Questo essere luogo di passaggio si riflette negli stessi protagonisti che non si sentono a proprio agio nella situazione in cui, loro malgrado, sono e lo si nota man mano che la storia va avanti; nel finale, a distanza di anni quando entrambi si sono allontanati dalla città e hanno fatto esperienze diverse, ritornano in quello che è stato il luogo del loro incontro e ripercorrono con gli occhi della memoria gli attimi passati. Hong Kong rimarrà sempre per loro il luogo di un amore malinconico.
Wong Kar-Wai racconta una storia d'amore malinconica, triste in cui però tanti si possono rispecchiare; chi non ha mai provato sentimenti che, per un motivo o per l'altro, erano destinati a non avere un lieto fine? 
                                                                                                                                     4