martedì 29 luglio 2014

Locke. Il viaggio di una vita

Bon soir! Spesso i film migliori sono quelli che passano in sordina, che non vengono ammessi ai grandi festival o a cui viene riservata un'attenzione secondaria. A volte addirittura non escono in sala (molto frequentemente è proprio quello che accade in Italia). La pellicola di cui vi parlerò in questo post è stata presentata, fuori concorso, alla 70° mostra del cinema di Venezia ed è un vero gioiellino: si tratta di Locke diretto da Steven Knight.
L'intera storia si svolge in una notte, in un'auto guidata da Ivan Locke. Ivan ha deciso di rivoluzionare completamente la sua vita; al volante della sua vettura si sta dirigendo in direzione sconosciuta dove la persona con cui ha trascorso una sola notte insieme nove mesi prima sta per partorire. Lei, naturalmente, non è sua moglie che, al contrario, lo sta aspettando a casa con i figli per guardare la partita di calcio. Non è però tutto... Locke è anche il capocantiere del più importante progetto non militare di costruzione edile in quanto a dimensioni e, proprio la sera prima della grande colata di cemento in cui tutto deve essere preciso al dettaglio, decide di lasciare il cantiere in mano al suo assistente per recarsi a Londra. 
Inizia così una lunga serie di telefonate in viva voce per risolvere qualsiasi problema relativo alla "grande colata" con assistenti, dipendenti e capo perché, nonostante sappia di aver perso il posto con il suo comportamento, quello rimane sempre il suo palazzo e tutto deve andare come previsto. In contemporanea però chiama anche Bethan, la donna che gli sta dando un figlio, e la Katrina, la moglie per raccontarle tutto. Non contento intraprende pure un monologo con un passeggero invisibile a cui addossa tutte le colpe e da cui vuole con tutto se stesso dissociarsi. 
Knight non è il primo regista che si cimenta con un'opera la cui trama si svolge tutta in un'unico posto; prima di lui ci sono stati illustri esempi quali Lumet con La parola ai giurati e Polanski con il recente Carnage. Qui però si va oltre: l'azione si compie interamente all'interno di una macchina in un'ora e mezza. Inoltre il regista, quasi non fosse soddisfatto di ciò, si serve di un solo protagonista lasciando che tutti gli altri siano pure voci senza volto né corpo; spetta quindi a Tom Hardy (interprete di Locke) il farsi carico della rappresentazione nella sua interezza.
Fin da quando sale in auto noi spettatori diventiamo partecipi del suo tormento, siamo il passeggero seduto sul sedile posteriore che silenzioso ascolta tutte le telefonate e i monologhi che fa nel tentativo di compiere la scelta giusta per sé e per gli altri. Ivan è una brava persona, ottimo capocantiere, scrupoloso in ogni minimo dettaglio, buon padre e, fino a nove mesi fa, marito irreprensibile. Poi, dopo una notte di solitudine, tutto cambia; una donna di cui non sa niente se non che è sola rimane incinta e ora sta per dargli un figlio. Lui sceglie di fare la cosa che ritiene più giusta: prendersi cura di quel bambino; per farlo però è costretto a sconvolgere totalmente la sua vita e quella delle persone a lui legate. Perde così in un colpo solo tutto, ma è deciso a farlo per non ripetere gli errori che dal passato tornano a galla.
In questa ora e mezza di puro dialogo il mondo e il tempo spariscono, la sala diventa l'auto di Locke e noi ci immedesimiamo in lui, ne comprendiamo i suoi tormenti e li facciamo nostri: questo è lo scopo del film, lo scopo di Knight. A fine visione non si può che uscirne spossati, travolti dalle emozioni e dalla potenza espressiva di un unico interprete che è stato in grado di catalizzare la concentrazione dall'inizio alla fine sul suo volto. A voler essere onesti chi non si è identificato in lui, nei suoi discorsi o quanto meno nel modo di usare un viaggio in auto (in notturna per di più) per risolvere problemi quotidiani? 
Vi do soltanto un consiglio: non guardate questo film se siete stanchi perché per apprezzarlo appieno è richiesta una buona dose di attenzione. Per il resto merita di essere visto
                                                                                                                                       4 e mezzo 

mercoledì 23 luglio 2014

Il violinista del diavolo. Paganini e Garret: due artisti stessa musica

Oggi carissimi vi voglio parlare di di un film a tema musicale, ma che non è un musical (così chi non ama il genere può rilassarsi!); è un'opera che racconta la storia di uno dei più importanti musicisti/compositori della musica romantica. Si tratta ovvero di Niccolò Paganini e l'opera di Bernard Rose è Il violinista del diavolo.
Paganini fin da bambino dimostra un talento e una predisposizione naturale per la musica, in particolare per il violino, strumento che adotta per tutta la sua carriera; tuttavia non viene compreso, dal padre in primis, e poi dal pubblico che snobba la sua arte perché non del tutto convenzionale con i canoni del suo tempo. Non riesce quindi a diventare famoso e riscuotere quel successo che gli spetta di diritto. Questo fino a quando compare nella sua vita un misterioso personaggio, tale Urbani, che gli propone un accordo: successo, fama e potere in vita in cambio della sua anima quando morirà. Paganini accetta senza indugi e da questo momento in poi ogni palcoscenico d'Europa è suo e ogni volta il successo è maggiore del precedente. Naturalmente con tutto ciò crescono anche i vizi del musicista: donne, gioco d'azzardo, stupefacenti lo corrompono gradualmente fin nel profondo, ma non riesce a farne a meno (Urbani tollera e a volte incoraggia per il suo fine ultimo).
Arrivato a Londra, tra polemiche e manifestazioni per il suo comportamento libertino, il musicista conosce la giovane Charlotte, pura e candida fanciulla dalla voce angelica che, forse unica, riesce a farlo innamorare veramente, la sola capace di redimerlo dal suo passato. Però Urbani non può accettare ciò e, con ogni stratagemma a sua disposizione, fa sì che il rapporto tra i due si incrini irrimediabilmente. Da questo momento in poi Paganini non sarà più lo stesso.
Anche se il film non si rifà esattamente alle vere vicissitudine dell'artista mette comunque in mostra il suo genio, il suo talento, dono che in pochissimi hanno (la mobilità delle sue dita è dovuta, paradossalmente, ad una rara patologia). Per questa sua capacità venne addirittura definito come "il violinista del diavolo" in quanto si sosteneva che avesse stretto un patto con quest'ultimo pur di raggiungere il successo. 
Tutto ciò non toglie che Paganini fosse inarrivabile nel suo genere tanto che si arrivò a consideralo il primo violino al mondo. Il regista punta su questo aspetto scegliendo come interprete del maestro un altro grande artista contemporaneo, il violinista David Garrett che, come lo stesso Paganini, sperimenta usi nuovi per il suo strumento. Entrambi lo riadattano per musica non solo da camera ma anche per stili più "forti", sul rock andante, mostrando tutte le possibilità dello strumento stesso. Il primo, innovatore, autodidatta, compositore e improvvisatore di quasi tutti i brani che suonava (tanto che circolava il detto "Paganini non ripete") viene rappresentato nel film come l'antesignano del rocker moderno, cappotto lungo in pelle, occhialini tondi e scuri e capelli lunghi perennemente in disordine; il secondo, attraverso la sua interpretazione, potrebbe essere visto come il suo successore ipotetico (musicalmente parlando).
La pellicola, sottolineo, non deve quindi considerarsi come un film su Paganini in senso stretto (non è ovvero un biopic) perché le differenze con la realtà sono molte, ma va osservato dal punto di vista musicale, per cogliere le somiglianze che ci sono tra due diversi musicisti, ognuno dei quali unico nel suo essere, ma che condividono una passione comune: l'arte della musica, il violino.
Se siete curiosi di approfondire il tema prettamente musicale vi consiglio il post a tema del blog della mia amica Erica in cui troverete molte informazioni interessanti. Di seguito il link per la consultazione.
http://piccoliviaggimusicali.blogspot.it/2014/07/danza-ungherese-n5-4-topolino-e-cult.html?spref=fb
Se ben si guarda l'impostazione del film ricorda quella scelta da Milos Forman per il suo Amadeus (sulla figura di Mozart) che riscosse grande successo alla sua uscita. Questo per dire che se Rose avesse realizzato una pellicola fedele alla storia del violinista probabilmente nessuno o veramente pochi l'avrebbero guardata, io inclusa. Pertanto se vi va di vederla lasciatevi solo guidare dalla musica!
                                                                                                                                       3 e mezzo 
  

sabato 19 luglio 2014

La 25° ora: sogno o realtà?

Aujourd'hui mes chères vi propongo un film che fin dalle prime scene mi è piaciuto moltissimo e sono davvero poche le pellicole capaci di catturarmi dall'inizio alla fine! Ecco quindi La 25° ora di Spike Lee.
L'azione si svolge tutta a New York dove il protagonista, Monty Brogan, fa di "mestiere" lo spacciatore di droga; tuttavia viene incastrato da un conoscente, spacciatore anche lui, che non si fa problemi a venderlo alla polizia la quale trova nel suo appartamento svariati contanti e un chilo di eroina nascosti nell'imbottitura del divano. E' una magra consolazione per Monty scoprire chi l'ha tradito; la pena datagli è 7 anni di prigione. 
Monty, nella sua ultima giornata di libertà, ha 24 ore a disposizione da vivere, salutare amici e fidanzata e sistemare le cose con la sua coscienza. Non riesce però a capacitarsi pienamente dalla sua colpevolezza e, durante una cena con il padre, in un momento in cui si trova solo, inizia un lungo monologo in cui accusa tutto e tutti per la sua situazione; solamente alla fine capisce che in realtà la colpa è unicamente sua. 
Per "festeggiare" quest'ultimo giorno i suoi migliori amici, l'insegnante Jacop e l'agente di borsa Frank, e la sua fidanzata Naturelle gli organizzano una serata in discoteca che funga anche da tranquillante in vista di ciò che lo aspetta per i prossimi anni. Qui Monty si rende conto che per il suo aspetto fisico non avrà vita semplice in prigione; chiede quindi ai suoi amici il più grande favore che possano fargli per aiutarlo ad affrontare meglio il soggiorno forzato. 
Mentre è in macchina per raggiungere la prigione si ferma a pensare ad un'ipotetica venticinquesima ora e a cosa essa possa comportare; la scelta è sua se andare veramente in prigione o scappare..
Il film di Spike Lee è un vero e proprio omaggio sia alla città di New York che ai suoi abitanti, caratteri unici che rendono unica la stessa metropoli. La scelta poi di soffermarsi su di un solo personaggio, che in realtà mostra tutti gli altri, è particolarmente azzeccata perché permette a chi guarda il film di concentrarsi su di un'unica storia da cui si diramano tutte le altre. Monty rappresenta quasi il prototipo di newyorkese doc, ormai piccola minoranza in una città in cui predominano immigrati di diverse etnie; bianco, pallidino, magrolino, con la faccia da bravo ragazzo e umanamente predisposto alle buone azioni non può più sopravvivere in una società di squali dominata da pochi ricchi con le mani "in pasta" come il suo amico Frank. E' destino che si cacci nei guai, volente o meno.
Strepitosa è la scena del monologo davanti allo specchio del bagno nella quale Monty, arrabbiato per la sua condanna e perché non si sente veramente colpevole, se la prende con tutti riversando, ipoteticamente, la sua rabbia su coloro che in qualche modo hanno corrotto la società in cui vive, soprattutto (e qui vuole porre l'accento Lee) dopo l'11 settembre, e che gli ha dato sette anni di prigione. Tuttavia, dopo lo sfogo, si rende conto che in realtà la colpa è solo sua e delle scelte sbagliate che nel corso della sua vita lo hanno progressivamente portato sulla cattiva strada. Accetta perciò con rassegnazione il suo destino sperando per il meglio.
Nella parte finale del film il regista offre però la possibilità a lui e a noi spettatori di vivere una presunta 25° ora in cui immaginare come potrebbe essere il futuro se si prendesse una strada diversa; cosa succederebbe se invece di andare a destra si andasse a sinistra? cosa succederebbe se si venisse meno ai propri principi per inseguire vane speranze? La 25° ora è sì un viaggio apparente nello spazio e nel tempo, ma lascia in ogni caso un margine di decisione: Monty farà la cosa giusta? Noi al suo posto cosa faremmo?
Numerosi sono inoltre i riferimenti nel film ad altre pellicole famose come a voler creare un sodalizio con le grandi opere che hanno fatto la storia del cinema americano e della città di New York nello specifico; uno su tutti è il rimando (scena dello specchio) a Taxi Driver di Scorsese, alcune inquadrature sono pressoché identiche a quelle di C'era una volta in America di Leone, il personaggio di Monty in qualche dialogo si riferisce a caratteri presenti in Wall Street di Stone e così via (non ve le dico tutte perché lascio il resto della ricerca a voi)! Solo per questo è da considerarsi un film imperdibile ma, badate bene, da guardare con molta attenzione perché le strade di New York trasformano la metropoli in un'imponente scacchiera in cui il re Lee gioca in casa ed è pronto a lanciare il suo "scacco matto".
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venerdì 18 luglio 2014

Il grande dittatore: Chaplin rules

Bon jour à tout le monde! Finalmente ho un po' di tempo per proporvi un bellissimo, quanto famosissimo film da vedere se non l'avete già fatto... per il suo tema e per come è stato affrontato rappresenta a tutti gli effetti un "evento straordinario". L'opera in questione è Il grande dittatore di Charlie Chaplin.
Un barbiere ebreo perde la memoria nel corso di un'azione militare durante la Prima Guerra Mondiale e neanche il lungo periodo di degenza in ospedale riesce a fargliela recuperare; tuttavia fa comunque ritorno al suo negozio per riprendere la sua vita. Qui però scopre che i soldati dello stato della Tomania (in cui vive) imbrattano le sue vetrine con scritte denigratorie dei confronti della popolazione ebrea e si ribella. Il ciò prevederebbe l'impiccagione, ma il comandante Schultz (al quale il barbiere salvò la vita durante quell'azione in cui perse la memoria) riesce ad evitarlo, ricambiando in qualche modo il favore. 
Però le cose, in apparenza ancora tranquille, stanno per cambiare in quanto il dittatore Hynkel ha mire espansionistiche sui paesi vicini e si prepara a far scoppiare un'altra guerra. Nel frattempo il barbiere, al momento sano e salvo, inizia a provare più di un sentimento di simpatia per la giovane Hanna, ragazza come lui abitante del ghetto che non sopporta i continui soprusi dei soldati. 
La sete di potere di Hynkel tuttavia non cessa neanche davanti a degli ostacoli (tanto che lo stesso Schultz e il barbiere vengono internati in un campo di concentramento) ed anzi richiede la collaborazione del suo alleato Napoloni per l'invasione dell'Ostria. Durante la prima rappresaglia però avviene un "curioso" incidente che porta tutti a scambiare Hynkel per il barbiere (si somigliano molto), che nel frattempo era riuscito a evadere dal campo con l'amico Schultz; quest'ultimo si prodiga in ogni modo possibile per far sì che tutti credano che il barbiere sia effettivamente il dittatore. La prova del nove sarà il discorso che dovrà tenere davanti al popolo dell'Ostria..
Il film di Chaplin viene considerato un evento straordinario perché girato nel 1940, quando ovvero la Seconda Guerra Mondiale era da poco scoppiata e il potere di Hitler all'apice. La pellicola è una vera e propria parodia, non solo del dittatore tedesco, ma anche del suo alleato Mussolini volta a mettere in ridicolo tutti i loro comportamenti tipici e gli stereotipi del loro agire. Non a caso a dir poco geniale è la scena del dialogo tra i due nella residenza di Hynkel in cui entrambi cercano ogni stratagemma possibile per prevaricare l'altro in modo da metterlo, idealmente e non, in secondo piano. 
Altrettanto "dissacrante" nei confronti del regime è scelta adottata dal regista di far corrispondere la figura del dittatore a quella del barbiere ebreo; in questo modo quando il secondo viene scambiato per il primo non si nota nessuna differenza fisica, ma grande è invece quella sul piano ideologico. Il solo fatto quindi di soppiantare il Führer con un personaggio ebreo rappresenta un enorme smacco per Hitler in primis e per tutto il regime di conseguenza. 
Chaplin lo sa bene quando decide di realizzare quest'opera e ammette anche che se avesse solo ipotizzato a cosa sarebbe giunta la follia nazista probabilmente non se la sarebbe mai sentita di girare una parodia sul tema; tuttavia questo film serve anche e soprattutto per mostrare la sua presa di posizione nei confronti dello stesso regime. Il discorso finale infatti rappresenta idealmente il suo pensiero.
Nonostante le varie censure e i divieti di distribuzione in Europa in quegli anni il film riceve svariate nomination e premi che mostrano come esso sia un'opera di inestimabile valore artistico e morale; a tutt'oggi rimane uno dei maggiori capolavori dell'intera storia del cinema.
Vi segnalo un ottimo post a tema musicale legato alla scena in cui Chaplin/barbiere sta radendo un cliente sulle note di Brahms.
http://piccoliviaggimusicali.blogspot.it/2014/07/danza-ungherese-n-5-3-cult-movie-il.html?spref=fb
                                                                                                                                        4 e mezzo

mercoledì 9 luglio 2014

Solo gli amanti sopravvivono... non può che essere così

Bon jour a tutti voi! Contavo di scrivere un po' prima, ma troppe cose mi hanno fatto rimandare fino ad oggi... tuttavia ne è valsa la pena perché ho intenzione di proporvi un film davvero molto bello! Si tratta dell'ultima opera di Jim Jarmusch Solo gli amanti sopravvivono.
I due protagonisti, Eve a Adam, sembrano due persone qualsiasi; Eve vive a Tangeri circondata da arte e libri di ogni tipo, mentre suo marito Adam a Detroit dove sperimenta continuamente nuova musica. Tuttavia ben presto si scopre e che in realtà essi sono due vampiri: dormono di giorno, vivono di notte e regolarmente fanno rifornimento di sangue per continuare a sopravvivere. Le loro giornate scorrono sempre uguali, quasi monotone, circondati solo da "zombie" (come vengono definiti gli umani) che non fanno altro se non distruggere quello che gli circonda. La lontananza non fa per loro quindi Eve decide di raggiungere il compagno a Detroit per assicurarsi che stia bene e, soprattutto, lontano dai guai e dai proiettili di legno. Tutto improvvisamente cambia però quando in città arriva la sorella di Eve, Ava, spirito ribelle e inquieto che non si fa problemi a succhiare tutto il sangue da un umano pur di nutrirsi, preferendo questo metodo ormai "datato" a quello usato dalla coppia basato sulla corruzione di medici e ricercatori. Occorre sbarazzarsi del cadavere e per non lasciare tracce Adam e Eve decidono di ripartire insieme per Tangeri dove hanno intenzione di ricongiungersi col loro antico amico Marlowe, che è anche il fornitore di sangue non contaminato di Eve. Qui però troveranno il vecchio morente e senza scorte cosa che costringe i due ad andare alla ricerca per sopravvivere.
Sebbene la scelta del tema "vampiri" possa apparire scontata e banale visto il recente e stra-usato filone questa realtà è diversa. Jarmusch sceglie di mostrare un lato diverso di ciò, ovvero il rapportarsi di tali figure con il mondo; esse possono vivere secoli senza invecchiare, vedono lo scorrere del tempo, l'evolversi delle civiltà e delle persone che le plasmano. Ma vedono anche e soprattutto la decadenza verso cui il pianeta si sta lentamente dirigendo a causa di quelle stesse persone che lo hanno plasmato. Non a caso i due protagonisti definiscono gli umani con il termine "zombie", sottolineando come ormai quest'ultimi sono solo lo spettro di quello che un tempo rappresentavano; corrosi da guerre e invidie sono solamente capaci di distruggere ciò che di positivo rimane sulla terra, lasciando al loro passaggio tracce di rovina.
In questo modo il regista mette in evidenza lo spirito che contraddistingue i due vampiri: essi sono capaci di osservare quello che li circonda, sanno dare il giusto nome e il giusto valore ad ogni cosa, amano l'arte e la natura e si accorgono quando qualcosa non è al suo posto. Se si volesse riassumere in una parola quello che Adam e Eve fanno si potrebbe semplicemente dire che Amano. Nel corso dei secoli, in ogni città in cui hanno vissuto, anche se separatamente, loro hanno saputo riconoscere le persone che sono state capaci di creare cose belle e utili per il genere umano, contornandosi di volta in volta di musicisti, scienziati, scrittori ecc...
Sono loro, sono Eve e Adam che nonostante gli ostacoli sopravvivono a tutto e tutti perché, dice saggiamente Jarsmusch, sono amanti, si amano ed amano da secoli e continueranno a farlo; questa è la loro forza capace di andare oltre ogni possibile problema facendoli sopravvivere al resto. 
Anche se noi non siamo vampiri dovremmo prendere esempio dai due protagonisti; dovremmo cercare di amare un po' di più, di prenderci cura gli uni degli altri senza fare distinzioni. 
Quello di Jarmusch è un monito a ripensare le nostre esistenze migliorandole; la sua è un'analisi profonda del comportamento che troppo spesso viene etichettato come "diverso", ma è proprio questo diverso che fa la differenza, che vede le cose nella giusta prospettiva riconoscendone l'importanza. 
                                                                                                                                                     5

giovedì 3 luglio 2014

Maps to the stars: la mappa di Cronenberg

Carissimi! ho dovuto pensarci un po' su prima di scrivere questo post perché il film in questione richiede, dopo la sua visione, qualche giorno di tempo per assimilarlo bene... Eh sì perché l'opera in questione è l'ultimo capolavoro del maestro David Cronenberg Maps to the stars.
Nella mondana e glamour California la famiglia Weiss vive serena dedicando tutte le proprie attenzioni alla ricerca del successo nel mondo dello spettacolo. Il marito è un famoso terapista televisivo che annovera tra i suoi clienti star di fama internazionale, ma con profondi traumi psicologici; la moglie spende ogni energia nello seguire la carriera attoriale del figlioletto adolescente e quest'ultimo cerca di mantenere costante il suo status di celebrità. Tuttavia la loro vita non è così idilliaca come sembra; celano infatti un cocente segreto legato all'altra figlia Aghata di cui è severamente vietato parlare.
E' proprio lei però a far tornare a galla tutti i problemi e le insicurezze così accuratamente celate al mondo esterno; dopo anni passati in clinica di cura decide di ritornare per, come dice lei, "fare ammenda". Trova lavoro presso una famosa attrice, che guarda caso è in cura dal padre, ossessionata dalla madre morte e dal voler a tutti i costi interpretare il ruolo che la rese celebre. Aghata tenta in tutti i modi di riallacciare i legami con la famiglia, soprattutto con il fratello Benjie, a cui in passato ha causato più danni di tutti, ma per fare ciò dovrà ricorrere a conseguenza estreme.
Cronenberg continua a stupire con la semplice complessità delle sue trame; storie all'apparenza facili che in realtà celano mondi suddivisi in vari substrati emotivi, strettamente connessi tra loro ma al contempo ognuno con la propria indipendenza. Nello specifico di quest'ultima pellicola il regista vuole contrapporre la banalità della vita mondana, quella tanto sognata da noi comuni mortali e ostentata da vip e celebrità, con la complessità di ciò che in realtà si cela dietro tutto questo.
Diversi sono gli esempi che egli ci presenta con differenti problematiche che, per casualità (o forse no), sono connesse tra loro. Stafford Weiss da bravo terapista cura tutti tranne sé stesso e la sua famiglia, preferendo costruire uno spesso muro dietro cui nascondersi; sua moglie Cristina cerca di proteggere il figlio dal ritorno della sorella, ma al contempo vorrebbe anche tentare di riallacciare una parvenza di rapporti con lei sentendosi colpevole per averla abbandonata. Benjie è forse tra tutti quello che più comprende Aghata perché inizia a trovarsi nello stesso stato d'animo in cui lei compì il gesto di cui nessuno vuole parlare e poi Aghata stessa che, venuta a conoscenza di segreti sui genitori, cerca di porvi rimedio. Infine c'è Havana, l'attrice problematica, che vive il suo personale dramma facendone subire le conseguenze su chi le sta attorno, ma che infine ne pagherà tutte le conseguenze.
Cronenberg ci mostra tutto ciò senza però darci la chiave della soluzione perché il lavoro difficile, quello di indagine e ricerca spetta a noi. Ci fornisce tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per comprendere la storia, ma l'analisi profonda delle singole vicende è un compito nostro che avrà sfumature sempre diverse perché occhi sempre diversi guarderanno queste vicende trovandovi all'interno ogni volta particolari nuovi.
Non rimane dunque, se non l'avete già fatto, che concedervi un paio d'ore da dedicare a questo maestro del cinema contemporaneo!
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