mercoledì 14 maggio 2014

Fantastic Mr. Gustave H.

Ecco un altro regista che più guardo e più mi piace: Wes Anderson.
Osservando i suoi film mi sono accorta che seguono tutti una linea ben precisa, con un tema centrale, mantenendo sempre uno stile leggero e ironico. Anche nel suo ultimo lavoro Grand Budapest Hotel.
Monsieur Gustave H. è il più rinomato portiere d'albergo di inizio Novecento, amico e protettore dei suoi collaboratori e molto intimo delle sue attempate clienti che non mancano mai di ringraziarlo con regali più o meno cospicui. Tutto sembra andare a gonfie vele fino a quando la sua più affezionata cliente, Madame D., viene trovata morta nella sua residenza. In eredità la vegliarda ha lasciato al portiere un pregiato quadro, Ragazzo con mela, che però non vuole essere ceduto dagli eredi che credono il povero M. Gustave l'omicida (anche se in realtà sanno benissimo chi è il vero assassino). Da questo momento inizia la vera epopea del protagonista costretto a fuggire, aiutato dal fedele giovane lobby boy Zero, per poi essere incarcerato, evadere, fuggire di nuovo fino alla completa scoperta della verità e del testamento nascosto. In tutto ciò non manca neanche lo scoppio della guerra che debilita il settore vacanziero e tutte lo strutture che lo comprendono, incluso il famoso Grand Budapest Hotel casa di Monsiuer Gustave.
Ancora una volta ecco comparire il tema portante della poetica andersiana: la famiglia intesa non solo nel senso canonico del termine ma anche come insieme di persone diverse tra loro ma in stretta interdipendenza una dall'altra. Come ne I Tennenbaum, Le avventure acquatiche di Steve ZissouUn treno per Darjeeling o Fantastic Mr. Fox anche qui tutta la storia ruota attorno ad un nucleo di persone in cerca della propria stabilità e identità. Capofamiglia in questo caso è Monsieur Gustave H. che, padre ipotetico di tutti i dipendenti dell'hotel, non si tira mai indietro quando si tratta di difendere, salvare o aiutare uno di loro, in particolare il giovane Zero, lobby boy immigrato e un po' sfigato che si rivela essere il suo più valido assistente. Neanche quando la fortuna gli si ritorce contro viene abbandonato dalla sua curiosa famiglia allargata che anzi fa di tutto per aiutarlo. 
Durante tutta questa travagliata avventura che ha in sé del tragico non manca mai lo stile ironico, leggero e spiritoso che è tipico di Anderson; stile volto a sdrammatizzare la situazione che si tratti della fuga di Gustave H., del viaggio alla riscoperta di sé in mare aperto di Steve Zissou, del percorso evolutivo di Mr. Tennenbaum o della presa di coscienza di Mr. Fox. 
Raramente inoltre si vede un personaggio, che sia o meno il protagonista, da solo; esso è sempre contornato da caratteri secondari, atti ancora una volta a ricordare lo spirito di gruppo, di cameratismo che caratterizza i film del regista. Ad incrementare questo senso di collettività è soprattutto l'uso che viene fatto della colonna sonora, garantendo quel tocco di poesia in più.
Anche se in apparenza i suoi personaggi appaiono come dei disadattati, non più al passo coi tempi e quindi prossimi all'oblio in realtà rivelano avere ancora un asso da giocare, una forza di spirito che li porta a prendersi una rivincita su tutti quelli che li danno ormai per spacciati; tale carta nascosta non è per forza di cose una dimostrazione del loro essere invincibili, anzi è forse quel guardarsi allo specchio che rivela la loro essenza più profonda generando un esame di coscienza volto al miglioramento personale. 
C'è tanto da imparare, se si vuole leggere sotto la superficie, dai film di Anderson; basta solo averne il coraggio.

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