martedì 20 maggio 2014

La giusta distanza: un labile confine

Carissimi oggi torno a parlare di film e, udite udite, di cinema italiano! Già proprio così, ieri ho visto un film che mi è davvero piaciuto e che mostra ancora una volta come il razzismo e il pregiudizio siano tuttora presenti all'interno della nostra società contemporanea. L'opera di cui ho scelto di parlarvi è stata diretta da Carlo Mazzacurati: La giusta distanza.
Mara si trasferisce per un breve tempo, prima di andare in Brasile, in uno sperduto paesino della campagna veneta per fare da insegnante ai bimbi della zona. Tutto è diverso rispetto alla sua movimentata vita cittadina: gli abitanti si conoscono tutti tra di loro, il concetto di privacy non esiste e se si fa qualcosa considerato al di fuori degli schemi in un attimo tutto il paese lo viene a sapere. Qui Mara fa la conoscenza di Hassan, meccanico tunisino ormai italianizzato e ben amalgamato tanto da parlare anche il dialetto veneto, e di Giovanni, diciottenne con ambizioni giornalistiche. In breve tempo, superati gli scontri iniziali, nasce qualcosa tra Mara e Hassan che, se è solo attrazione fisica per lei, è quasi amore per lui. Fin qui tutto normale, il giorno della partenza si avvicina ed è il momento degli addii ma Mara non partirà mai per il Brazile; il giorno dopo aver salutato il meccanico viene trovata morta nel fiume. Tutti i sospetti portano nella direzione di Hassan, l'ultimo ad averla vista viva e, motivo quasi fondamentale, straniero; dopo un processo sommario viene incarcerato. Poco dopo si suicida in cella lasciando solo un biglietto in cui si professa innocente. Sarà Giovanni a portare a galla la verità, anche se un po' in ritardo, mettendo a posto tutti i pezzi del puzzle.
Mazzacurati mostra come sia ancora fortemente presente, nonostante il processo evolutivo e gli scambi culturali, il razzismo e il sospetto nei confronti di tutto ciò che viene visto come "diverso". Questo termine fa infatti paura, cela al suo interno qualcosa di oscuro e non riconoscibile che genera automaticamente la diffidenza, il puntare il dito per precauzione perché "è sempre meglio accusare, a volte ingiustamente, qualcuno di fuori che uno del posto". Il concetto è maggiormente riscontrabile nei piccoli centri abitati, isolati dalle grandi aree urbane dove tutti sanno la storia di tutti; ciò porta immancabilmente a nascondersi in casa e spiare il vicino da dietro la tenda della finestra. 
Nello specifico del film a fare le spese di questo odio/stupidità è Hassan, completamente innocente, ma creduto a priori colpevole persino dal suo stesso legale che decide di non sprecare il suo tempo indagando sul caso. Tocca ad un ragazzino poco più che maggiorenne il compito di far luce sulla verità, ripristinando quella "giusta distanza" che porta a vedere le cose obiettivamente senza farsi coinvolgere emotivamente dagli eventi. 
La giusta distanza è quindi un confine: un confine che gli abitanti del paesino hanno assunto a misura per tenere lontano gli estranei, un confine che separa sentimento e ragione ed un confine tra il fare la cosa giusta e non farla per vigliaccheria. In tutti e tre i casi esso è molto labile ed è facile passare da un lato all'altro senza accorgersene ma dando origine a conseguenze a volte drammatiche.
La giusta distanza è uno dei pochi film del cinema italiano contemporaneo che mette a nudo uno dei problemi della nostra società, ripercorrendo le scelte stilistiche fatte negli anni '60 dalla commedia all'italiana, senza però la vena comica.

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